martedì 11 aprile 2017

PER ALMERIGO. CONTRO LA CONGIURA DEL SILENZIO

Trieste, 11 aprile 1953 – Caia, 19 maggio 1987
 
OGGI, 11 APRILE, GIORNO DEL SUO COMPLEANNO,
SI INAUGURA A TRIESTE UNA MOSTRA IN SUA MEMORIA
CHE DURERA' FINO AL 10 MAGGIO
 
 
 
Riportiamo una serie di articoli,una canzone e un filmato
in Memoria di Almerigo Grilz,
affinchè finisca per sempre la congiura del silenzio
Per Chi- come Almerigo- è Coraggioso e "scomodo"
perchè non omologato e non ricattabile
Perchè nessuno più scriva
come hanno fatto degli stupidi mentecatti
"è morto un mercenario"
Ad Almerigo, l' Omaggio di Avanguardia
 
 
"Almerigo"-DDT 
 
 La congiura del silenzio
 


Ma pur senza averlo conosciuto di persona, so che Almerigo era uno straordinario inviato. Per capirlo mi sono bastati i racconti di Fausto Biloslavo e, successivamente, di Gian Micalessin.
Erano tre ragazzi quando, 25 anni fa, insieme fondarono l’«Albatross». Tre giovani di destra e questa è la «colpa» che si sono trascinati dietro per anni. Almerigo era stato segretario del Fronte della gioventù di Trieste, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale. Fausto e Gian con lui dividevano la passione politica. Ma alla fine, fu quella giornalistica a prevalere. Sognavano di fare i grandi inviati. Di girare il mondo. Di raccontare le battaglie. Cominciarono con l’invasione israeliana del Libano, poi venne l’Afghanistan e la lotta dei mujaheddin contro le truppe dell’Armata rossa.
Da quattro anni i soldati di Breznev avevano invaso il Paese, ma pochi sembravano interessati a scrivere di quella guerra contro l’impero sovietico. Nessuno pareva avere voglia di narrare la prima grande crepa nel muro comunista. O, forse, molto più semplicemente, non c’era inviato o reporter di lusso, a parte pochissime eccezioni, che avesse il coraggio di salire montagne e passare i valichi a dorso di mulo, insieme a un esercito di straccioni, rischiando di finire nelle mani dei russi.
Ci provarono loro - Almerigo, Fausto e Gian -, seguendo i guerriglieri, dividendo con loro i pericoli e quel niente che c’era da mangiare. Ne uscì un reportage che fu trasmesso dalla Cbs, una delle grandi reti televisive americane. Tre ventenni di Trieste avevano fatto uno scoop mondiale, che spalancherà loro le porte dei più importanti network tv e dei più famosi giornali stranieri.
Almerigo comincerà a documentare la guerriglia in Cambogia e la guerra Iran-Irak per la Cbs, gli scontri al confine birmano thailandese per il Sunday Time e per l’Express, l’avanzata sanguinosa dei ribelli dell’Unita in Angola per la Nbc. Fausto e Gian continueranno a descrivere le sconfitte dell’Armata rossa. Ma nonostante gli scoop, nonostante i resoconti dal fronte che li laurearono sul campo col titolo di inviati di guerra, per la stampa democratica italiana continuarono a rimanere tre fascisti. Quando Fausto Biloslavo fu catturato dai soldati russi, l’Unità titolò «Neofascista arrestato in Afghanistan». Nessun organo di categoria si mosse per reclamarne la scarcerazione. Nessuno lanciò appelli o versò riscatti, a parte la mobilitazione di alcuni amici a Trieste. Per sette mesi fu lasciato marcire in cella a Kabul. Solo una lettera di Cossiga riuscì a farlo liberare.
Quando nel 1987 Grilz fu ucciso in Mozambico, l’ineffabile Unità scrisse di nuovo: «Morto mercenario triestino». E al Tg1, cui dopo tempo Almerigo aveva iniziato a collaborare, il comitato di redazione protestò perché Paolo Frajese ebbe l’ardire di dedicargli un servizio. Un ex missino, nonostante avesse realizzato reportage esclusivi, documentando la ferocia dei conflitti in Africa, non meritava alcuna menzione. La congiura del silenzio contro Almerigo non è caduta neppure a distanza di vent’anni. Ancora oggi, sebbene Fausto Biloslavo e Gian Micalessin lo chiedano da tempo, l’Associazione della stampa di Trieste si rifiuta di ricordarlo. All’entrata della sede del sindacato e dell’Ordine dei giornalisti, a cui era iscritto, una lapide rammenta la fine di alcuni colleghi caduti in Bosnia e Somalia, ma per Grilz non c’è spazio. «La facciata del palazzo che ospita la sede dell’associazione non è un orto lapidario» è stata la giustificazione. Una casta di burocrati del giornalismo, piuttosto che riconoscere che un fascista - come sprezzantemente venne definito - fu un grande cronista, preferisce il ridicolo. Non solo quella lapide senza un nome è un monumento di meschinità, ma è anche il sepolcro della stupidità e della faziosità del giornalismo italiano. Un contraltare perfetto al coraggio di Almerigo.


I MONDI DI ALMERIGO
 

Ha sempre la penna in mano. Disegna e scrive da bambino, ragazzo, uomo. E poi c’è quella piccola macchina fotografica a tracolla, che diventerà sempre più grande e professionale, abbinata a una cinepresa super8. Foto, video, disegno e scrittura in un colpo solo. Lo scatto seguito da uno schizzo della stessa immagine prima della stampa, la ripresa abbinata a un testo prima di riversare la pellicola… Una capacità di cogliere l’attimo e raccontarlo in diversi modi. Non sono cose automatiche, eppure Almerigo Grilz ci riusciva con incredibile semplicità. Lo raccontano i suoi album, i suoi diari da studente e poi da giornalista, le immagini che lo ritraggono.
Quello che proprio non gli riusciva era guidare. Né le due ruote, bicicletta forse a parte, né le automobili, come dimostrano la sequela di incidenti stradali collezionati da ragazzo prima di lasciar perdere. Una vera frana al volante. Non faceva per lui, ma questo non gli impediva di girare il mondo on the road fin da giovanissimo. Assieme a un amico, oppure facendo l’autostop e scroccando un passaggio. Gli itinerari prediletti? La Gran Bretagna, prima di tutto, l’Europa del Nord e poi il Medioriente, l’Asia, l’Africa… Gli mancava da scoprire solo le Americhe e se non fosse morto a soli 34 anni, primo giornalista free lance italiano ucciso dopo il secondo conflitto mondiale, sarebbe probabilmente andato fino al Polo Nord tanta era la voglia di viaggiare e scoprire nuove realtà, volti e storie.
La sua Trieste e un contesto familiare dalle tradizioni marinare gli avevano trasmesso il mito del viaggio, insito in questa città di mare sferzata dalla Bora, portandolo a compiere un percorso troppo breve ma così intenso in quegli anni dove il mondo era diviso in due blocchi che “imprigionavano” gli uomini nei loro Paesi e nelle ideologie. Già, le ideologie, i conflitti e la politica. Una parte della vita di Almerigo Grilz, forse quella più conosciuta e, a torto, considerata caratterizzante, che lo vide schierato a destra negli anni Settanta alla guida del Fronte della gioventù, e per questo amato, odiato, temuto. Anni pieni di idee e di violenza, a cui per altro non si sottrasse, che lo videro segnare un’epoca. Non solo a Trieste.
Ecco perché la sua storia, senza nascondere nulla o privilegiarne un aspetto, diventa un modo per raccontare non solo un uomo ma una stagione irripetibile, prima di vederla irrimediabilmente massificata in internet, dove troppo spesso la miriade di dati, a volte ripetitivi e inesatti, non arrivano a cogliere il particolare. Serve qualcosa di più, capace di andare oltre all’omologazione di base. È una sfida difficile ma non impossibile: raccontare Almerigo Grilz fra sogni giovanili, l’amore del viaggio, la politica iniziata da ragazzo e lasciata per un’altra passione, quella del giornalismo. Un percorso dall’11 aprile 1953 al 19 maggio 1987, ricostruito utilizzando esclusivamente il materiale conservato e archiviato in maniera quasi maniacale dallo stesso protagonista di questo volume.
Almerigo Grilz ha lasciato, fino a quell’ultimo fotogramma a Caia, in Mozambico, una memoria documentale fatta di fotografie, filmati, quadri, disegni e scritti. È un personaggio che ha attraversato il tempo cavalcando i cambiamenti e viene ricordato dalla sua città con una strada a lui intitolata nel rione di Barcola: “Almerigo Grilz 1953-1987. Giornalista” recita la targa in marmo alle porte di Trieste. Ma il suo nome è presente anche nell’atrio del palazzo che ospita la sede triestina dell’Ordine dei giornalisti e dell’Assostampa. E poi compare sul monumento eretto in Normandia, a Bayeur, prima città francese a essere liberata il giorno dopo il D-Day, che Reporters sans frontières ha voluto dedicare a tutti i reporter uccisi nel mondo dal 1944. Un tributo di sangue per l’informazione, fra giornalisti e cineoperatori caduti durante lo svolgimento del proprio lavoro, che ha visto purtroppo Trieste pagare un prezzo altissimo.
Una passione non comune quella dell’inviato di guerra, avvincente quanto rischiosa. Il giornalista free lance Almerigo Grilz ci era arrivato prima creando il Centro Nazionale Audiovisivi, sposando di fatto quel mestiere e scegliendo, a metà degli anni Ottanta, di lasciare la politica che lo aveva visto anche sedere sui banchi del Consiglio comunale di Trieste dopo l’elezione nelle liste nel Movimento sociale italiano, del quale era anche dirigente nazionale. Una carica di consigliere comunale da cui si era dimesso per svolgere a tempo pieno la professione giornalistica. Ancora quella passione per il viaggio inseguita fin da ragazzo e la voglia di varcare i confini e conoscere storie diverse, per poi raccontare al ritorno le proprie esperienze. Fino agli scatti del reporter di guerra realizzati dopo gli inizi negli anni Ottanta, che lo spinsero a fondare l’Albratoss press agency, in qualità di giornalista in prima linea sui fronti più caldi. Stimato a livello internazionale per i suoi reportage richiesti dalle maggiori emittenti televisive e testate del mondo.
Ecco che questa iniziativa abbraccia una stagione e una vita nella sua interezza, perché I mondi di Almerigo sono tanti da raccontare e tutti con materiale inedito, originale e inaspettato, che fanno emergere un protagonista forse “sconosciuto” ma per questo motivo più interessante nella sua completezza. Nel maggio 2017 ricorre il trentennale della sua morte, ma questa mostra è giusta inaugurarla il giorno del suo compleanno.
              https://www.spazioinattuale.com/
 
 
Nel ricordo di Grilz e altri reporter caduti
 
 
 Siamo in Mozambico. È l’alba del 19 maggio 1987. Almerigo Grilz è al seguito dei guerriglieri della Renamo che si oppongono ai filosovietici della Frelimo. Sta filmando un attacco nell’ex zuccherificio della città di Caia. Il primo assalto viene respinto dai governativi e i ribelli ne provano un secondo. Anche questo tentativo non va a buon fine. La guerriglia della Renamo è costretta alla ritirata. Almerigo è con loro in prima linea. Sta filmando, quando, all’improvviso, una pallottola lo colpisce alla nuca. È il primo giornalista di guerra italiano caduto su un campo di battaglia dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma anche, come ricorda il suo amico e collega Gian Micalessin, “il più ignorato e dimenticato dai grandi media”.
La passione per i reportage di Almerigo Grilz – “Ruga”, come lo chiamavano i suoi amici – viene dopo numerosi viaggi “on the road” e l’impegno politico. Nel 1982 documenta l’invasione israeliana in Libano. Nel 1983, assieme a Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, si avventura per la prima volta nell’Afghanistan occupato dall’Armata rossa, dando vita all’Albatross Press Agency. Un’agenzia di reporter freelance.
Nel 1984 va in Cambogia e segue il conflitto tra la guerriglia e le truppe governative appoggiate dal Vietnam. Nel confine thailandese-birmano infiammato dai combattimenti tra i guerriglieri Karen e gli uomini della giunta militare di Rangoon, c’è ancora lui. Nel 1985 racconta la guerra tra Iran e Iraq. E poi ancora in Afghanistan, nelle Filippine con i ribelli comunisti, in Angola al fianco dei guerriglieri dell’Unita e in Etiopia.
Nel 1986 è il primo giornalista al seguito della Renamo in Mozambico. Ci torna anche nel 1987, quando mentre filma un assalto dei guerriglieri viene colpito alla testa. Gli uomini della resistenza nazionale, guidati da Afonso Dhlakama, dopo un giorno e mezzo di cammino lo seppelliscono vicino ad un grande albero, dove ancora oggi riposa. Nel 2002  Giancarlo Coccia, Gian Micalessin e Franco Nerozzi vanno in Mozambico per scoprire dove era stato sepolto l’amico e collega. Ci riescono e realizzano un toccante documentario: “L’albero di Almerigo”.
Gli scritti, le foto e i filmati di Grilz, vengono visti in tutto il mondo. In Italia scrive per Panorama, Avvenire, Rivista Italiana Difesa ed altre importanti testate. In Francia i suoi articoli sono pubblicati dal settimanale L’Express e in Gran Bretagna dal Sunday Time. Collabora con emittenti televisive internazionali, dalla televisione di stato tedesca Ndl alla Nbc statunitense.
Alla notizia della morte di Almerigo Grilz, molti giornali stranieri, dedicano ampi spazi alla notizia. In Italia, invece, no. La sua uccisione è stata colpevolmente ignorata dalla stampa a causa della sua passata militanza politica. Ma non da tutti. Gli Occhi della Guerra, a distanza di 29 anni dalla sua morte, continua a ricordarlo. E continua a raccontare le guerre del mondo, senza filtri né censure. Come faceva Almerigo Grilz, sempre in prima linea.
 
 
 
 
 
 
 
 
 GRAZIE AL CAMERATA PAOLO G.
PER QUESTA SPLENDIDA FOTOGRAFIA

In Triestin....................A Noi Sempre Camerata.................Te voio ben!

 Grizl, Morelli, Sluga

 

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