domenica 21 agosto 2016

SANDRO PERTINI : ERA DAVVERO IL “BUON NONNETTO CON LA PIPA IN BOCCA “ ?


 
LUISA FERIDA: STORIA DI UNA DONNA INCINTA
CONDANNATA A MORTE DA SANDRO PERTINI




“Avete mai sentito il nome di Luisa Ferida, pseudonimo di Luigia Manfrini Farnè? Probabilmente no. Provate a chiedere ai vostri nonni e bisnonni: forse la conoscono davvero bene.

Classe 1914, fu uno dei volti più celebri del cinema italiano negli anni ’30-’40, assoluta protagonista nel panorama del "Cinema dei Telefoni Bianchi". Marco Innocenti, giornalista de “Il Sole 24 Ore”, la descrive così: «Bruna, impacciata, focosa, Luisa è bella da morire e ha già addosso quel broncio che porterà con sé nella sua breve vita. Gli occhi sono pungenti da zingara, gli zigomi alti, i capelli color carbone, il corpo splendido, il portamento altero. In lei c'è qualcosa di erotico, di torbido e di felino, una sensualità, una rotonda carnalità da bellezza popolana, così amata dagli italiani di allora»

Era l’estate del ’39 quando la bella Luisa conobbe Osvaldo Valenti, altro divo del cinema dell’epoca. I due furono colpiti dal dardo di Cupido, che li portò a vivere un’intensa storia d’Amore. Condivisero gioie e dolori, piaceri e rinunce, ma vissero sempre insieme, sempre uniti. Insieme ed uniti affrontarono anche le sorti dell’Italia a seguito del tradimento dell’8 settembre.

Valenti, che fino ad allora non aveva mai avuto incarichi nella compagine fascista, si arruola volontariamente nella Repubblica Sociale Italiana. Nel ’44 è tenente della Xa Flottiglia MAS. Nel frattempo, pare che la coppia frequenti Villa Triste a Milano, sede della famigerata Banda Koch. Diciamo “pare” perché non sono stati mai accertati legami tra quest’ultima e la coppia Valenti-Ferida. Nulla di certo, nulla di dimostrato; solo congetture e trame vigliacche, sufficienti per condannarli a morte. Difatti, il 10 aprile ’45 Valenti, forse per aver salva la vita e,soprattutto, quella di Luisa che aspettava un bambino, (la coppia aveva già concepito un figlio, morto purtroppo poco dopo la nascita), decise di consegnarsi spontaneamente ai partigiani. Si rifugiò in casa di Nino Pulejo, appartenente alle Brigate Matteotti, il quale però lo scaricò, affidando le due celebrità al comandante Marozin della Divisione Pasubio, che non era certo uno stinco di santo, dato che era stato trasferito a Milano dal Veneto per sfuggire ad una condanna a morte del CLN, (pensate!), per furti, abusi e altri crimini.

Il 21 aprile Marozin incontra Sandro Pertini il quale chiede di Valenti; avuta la notizia della sua prigionia, il “grande presidente” ordina lapidario: “fucilali (quindi anche la Ferida, incinta!); e non perdere tempo. Questo è un ordine tassativo del CLN. Vedi di ricordartene!”. «Ordine tassativo del CLN: chi lo avrà dato e quando? Di quell' ordine, che sarebbe stato determinato dall' accusa ai due d' avere partecipato alle torture della banda Koch e di avere collaborato con i tedeschi,(ripetiamo: circostanza mai dimostrata! ), dovrebbe esserci stato un documento scritto. Nessuno lo ha veduto. Di scritto c' è soltanto un foglio in data 25 aprile dove si legge che ‘...il CLN su proposta dei socialisti vota all' unanimità il deferimento al tribunale militare di Valenti Osvaldo e Ferida Luisa per essere giudicati per direttissima quali criminali di guerra per avere inflitto torture e sevizie a detenuti politici’. Dunque, un deferimento, non una sentenza. Ma in quel mese di aprile, e peggio nei successivi, c' era la fucilazione facile e bastò l' intervento di Pertini a decidere la sorte dei due attori. Marozin voleva scambiarli con cinque dei suoi presi prigionieri dai tedeschi. Fallito il tentativo, non ebbe scrupoli a liberarsi dei due ingombranti personaggi e ad eseguire l' ordine.»

Così, il Valenti e la Ferida furono condotti in una cascina, ove vissero i loro ultimi giorni. L’attore subì un processo sommario, al termine del quale fu confermata la condanna a morte. Condanna che non fu mai comunicata al diretto interessato e che riguardava anche la compagna. Ignari della loro fine, i due innamorati furono caricati su un camion tra gente rastrellata. Giunti in via Poliziano, furono fatti scendere e messi faccia al muro. La donna stringeva in mano una scarpina azzurra di lana, destinata a scaldare i piedi innocenti di quel bambino che non vedrà mai la luce. Partì la raffica di mitra. I due caddero al suolo, stretti tanto nella Vita quanto nella Morte. Su di loro furono adagiati due cartelloni. Due scritte rosse dicevano: «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Osvaldo Valenti»; «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Luisa Ferida». Tre vite spezzate in colpo solo. Due vite probabilmente incolpevoli riguardo le accuse di collaborazionismo nazi-fascista e di aver compiuto ogni genere di atrocità a Villa Triste; una semplicemente candida.

Come se ciò non bastasse, Marozin e i suo compagni depredarono anche gli averi della coppia defunta, finiti poi chissà dove.
Negli anni successivi, la madre della Ferida domandò una pensione di guerra, dato che traeva le sue sostanze dai proventi della figlia. La domanda rese doverosi degli accertamenti sulla vicenda. Le indagini dei Carabinieri portarono alla conclusione che “la Manfrini, (vero nome della Ferida,), dopo l'8 settembre 1943 si è mantenuta estranea alle vicende politiche dell'epoca e non si è macchiata di atti di terrorismo e di violenza in danno della popolazione italiana e del movimento partigiano”. Conclusione ribadita dallo stesso Marozin, il quale disse: “La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente. Ma era con Valenti. La rivoluzione travolge tutti”. Nemmeno Valenti aveva probabilmente fatto niente, come fu poi confermato dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ebbe a dire che la Ferida e Valenti non furono giustiziati, bensì assassinati. Su questa posizione anche Romano Bracalini, biografo di Valenti, che dice: "La frettolosa condanna del CLN obbediva sostanzialmente alla regola umana e crudele che alla spettacolarità del simbolo che egli aveva rappresentato corrispondesse subito e senza ambagi una punizione altrettanto spettacolare. In altre parole egli doveva morire non già per quello che aveva fatto, quesito secondario, ma per l'esempio che aveva costituito"

Questo è ciò dice la storia, ciò che è realmente accaduto in quei giorni maledetti, che qualcuno si ostina ancora a chiamare “giornate radiose”. 
 In cuor nostro speriamo solo che prenda avvio un processo di seria revisione storico-politica riguardo la persona di Sandro Pertini, indegnamente spacciato per un eroe del nostro tempo, per un uomo degno di stima e ammirazione.
 I fatti dicono il contrario: fu un inetto e, per giunta, con le mani sporche di sangue. E' giunta l’ora di smettere di scrivere l’agiografia di questo personaggio, di questo falso mito e di iniziare a dire la verità.: un cattivo che ha giocato a fare il buono, il “buon nonnetto con la pipa in bocca”

Lasciando , -per ora- , perdere gli onori resi dal Pertini alla bara di Tito,infoibatore di Italiani, di cui parleremo più avanti
 


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